Editoriale

Stay hungry, stay fool for food

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A cura di Liana Zorzi, Direttore

A due giorni da Expo, ho fatto un viaggio all’estero per migliorare le mie competenze come giornalista esperta di nutrizione. Viaggiavo con amici, alcuni inglesi, che portavano nel bagaglio a mano i classici souvenir dall’Italia: tortellini freschi, Parmigiano Reggiano, cacciatorini piccanti, tagliatelle, numerose micro bottiglie da 100ml di olio d’oliva ligure, del Garda, di Puglia e pomodorini secchi da rigenerare con l’olio delle micro bottiglie.
Al controllo di sicurezza dell’aeroporto di Orio al Serio, una delle valigie, quella con i salamini, viene aperta per l’ispezione a causa della presenza di “oggetti dalle forme sospette”.
Il giovanotto della security, con accento bergamasco e scuotendo la testa, si rivolge a me – l’unica del gruppo a parlare italiano: “questi del supermercato (indicando i cacciatorini) sono buoni, ma se i suoi amici vogliono davvero qualcosa di eccezionale devono provare la ‘nduja sulla pasta. Parola di calabrese doc.” E per circa cinque minuti, sotto gli occhi divertiti dei miei compagni di viaggio inglesi – per i quali ho, ovviamente, tradotto ogni parola – appassionatamente mi racconta la sua ricetta della pasta con la ‘nduja, a me che sono vega-vegetariana.

Viaggio molto, per lavoro, per amore e per passione, e talvolta trasporto anch’io, nel mio bagaglio a mano, prodotti tipici di altri paesi. Mi è capitato di essere fermata ai controlli di sicurezza e dover estrarre dalla mia valigia pasta di cocco, di curry verde, semi e cereali introvabili in Italia, dolci e cioccolato, ma mai nessuno ha speso un minuto per darmi consigli su come utilizzare quei prodotti. Invece, in Italia, è possibile che un turista si porti a casa una ricetta, un’esperienza unica, consigli per acquisti di cibo doc, e il desiderio – dei miei amici – di mangiare ’nduja al prossimo viaggio in Italia o, ancor prima, di acquistarla su qualche buon sito di e-commerce, come raccomandato dalla guardia bergamasco-calabrese.

E così, riflettevo sul fatto che noi italiani siamo proprio pazzi per il cibo; ne parliamo e ci emozioniamo con la stessa passione con cui alcune persone parlano di calcio e altre di sesso, condendo ogni piatto con emozioni e sentimenti, oltre a ricordi, e non solo di gusto, come il piatto mangiato a un primo appuntamento, o quello che nessuno come lo prepara la mia mamma. Per questo, nel mondo, il legame Italia-italiani-cibo è uno stereotipo che, a mio parere, ben ci rappresenta. Così come dovrebbe rappresentarci, al meglio, l’imminente Expo2015.

Non credo, però, che qualcuno, nel mondo affamato di cibo vero – e non nel mondo che Steve Jobs esortava a stay hungryaffamato sì ma non di cibo – beneficerà delle numerose iniziative che nei prossimi sei mesi dovrebbero trovare il modo per nutrire il pianeta e dare energy for life. Expo sarà soprattutto l’occasione per nutrire ancor di più chi cibo già ne ha, dichiarando, ancora una volta, che è necessario mangiare di meno e più responsabilmente, come accade per l’alcool – bevi responsabilmente – per evitare di morirne, di abuso di cibo così come di alcool.
Non serve avere poteri divinatori per predire che, nei prossimi sei mesi, parleremo di cibo, e mangeremo, più di quanto siamo già abituati a fare. In attesa, allo scadere di Expo, di metterci tutti di nuovo a dieta, magari proprio quella che, per nutrire il pianeta, sarà lanciata tra le lasagne di Eataly, un bicchierone di Coca-Cola, le patatine fritte di McDonald’s e i salumi Beretta.
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Liana Zorzi

La dott.ssa Liana Zorzi, Direttore di Sani per Scelta, sociologa con un passato da infermiera e giornalista esperta nella divulgazione della medicina antiaging, collabora con alcuni tra i più prestigiosi medici e istituti a livello internazionale ed è relatrice in convegni in Italia e all’estero.

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