
Articolo a cura di Omar Sabry Science Communication @Tiss’You
Illustrazioni a cura di Tommaso Scandola
Sono stato contagiato e mi sono ammalato. Credevo di essere immune, poiché la razionalità è un vaccino ad ampio spettro, ma a quanto pare la paura è mutevole e trova nell’iper-informazione nuove forme di trasmissione. Altro che aerosol e droplets nell’aria. Mi è bastato sbloccare lo schermo del telefono. Prima il bombardamento mediatico dei giornalisti. Poi gli influencer, quelli che di solito parlano di make-up e cose frivole, con le loro storie Instagram sugli scaffali vuoti dell’Esselunga. Poi ho visto un video, dove un ragazzo tira fuori dalla tasca un oggetto misterioso causando il panico nelle persone attorno a lui, che scappano via urlando. Non era l’Iran e quell’oggetto non era una granata; il ragazzo semplicemente estraeva un fazzoletto nei pressi della fermata Romolo di Milano. È seguito un periodo di incubazione, in cui ero convinto di essere sano. Poi, è arrivato il primo sintomo. Un riflesso del trigemino, semplice allergia alla polvere, non saprei. Era uno di quei classici starnuti che sono abituato a fare in qualsiasi stagione dell’anno. Il sintomo non è stato lo starnuto, ma il terrore che ho provato nell’esecuzione di un gesto involontario che non potevo fermare. In quei tre secondi di solletico nasale ed espulsione forzata di aria sono arrivato a provare perfino senso di colpa. È stato lì che ho capito: il virus della paura aveva contagiato anche me.
IL VIRUS EGOISTA
Il virus è un microrganismo essenziale. Potremmo quasi dire che si tratta solamente di un mucchietto di informazioni genetiche ben impacchettate. Il suo scopo è quello di sopravvivere e replicare e lo fa diventando il parassita di una cellula, infettandola. Non è che abbia un progetto a lungo termine – se evolve lo fa solamente per errore – semplicemente ha un destino egoista, per usare le parole di Richard Dawkins. Sopravvive e replica, fino a che non entra in competizione con qualcosa di più forte di lui (come ad esempio un organismo multicellulare evoluto fino al punto da sviluppare un sistema immunitario adattativo, vi pare?). La volontà, se possiamo parlare in questi termini, di sopravvivere e replicare non è però esclusiva dei geni, di cui i virus sono dotati, ma anche delle idee che oggi possono diffondersi alla velocità di una connessione internet a banda larga e albergare, parassitarie, nelle nostre menti. Il tutto, in una misura di amplificazione così allargata che ci vede quotidianamente connessi, pronti a cedere parte della nostra coscienza individuale ad una coscienza universale sociale. La paura non è altro che un’idea e, se mi permettete l’uso di metafore e similitudini, si comporta come un virus. Si muore più frequentemente in macchina, che in aereo, eppure la quasi totalità delle persone ha un maggiore terrore del volo piuttosto che della guida, in preda ad una paura parassitaria che fugge qualsiasi regola razionale. Nel caso di una pandemia universale in grado di sterminarci, la paura ha raggiunto chiunque con un’efficienza e una rapidità tali che un virus ha solo da imparare. Alcuni sono portatori sani, ma ogni condivisione è un contagio e, in men che non si dica, esplode una pandemia di fobia senza precedenti.
LAVATEVI LE MANI
Così come un virus può essere più infettivo di un altro, allo stesso modo alcune paure possono essere più contagiose. Non si tratta sempre di un fatto negativo: c’è quella istintiva che porta le persone a sopravvivere. Se oggi facciamo i salti perché un innocente insettino si appoggia sul nostro naso, lo dobbiamo ai nostri antenati in preda ad una fifa che forse ai tempi era ritenuta ridicola, ma ha permesso loro di sopravvivere ai morsi di insetto. L’eccesso, però, può essere dannoso ed è la ragione per cui esistono parole per definire la paura con un’accezione negativa come: isteria, psicosi, paranoia. Se la razionalità non è sufficiente a renderci immuni agli attacchi di panico, per difenderci dobbiamo ricorrere a qualcosa di altrettanto irrazionale: la speranza. Lavatevi le mani, perché andrà tutto bene. Non dovete lavarvi le mani come arma di difesa. Lavatevi le mani perché è un buon comportamento. Un po’ come: seduti composti, così non vi viene la schiena storta. Lavatevi le mani perché potrebbe aumentare la vostra fortuna di non contrarre questo virus, ma se dovesse succedere non preoccupatevi. Nel caso, i farmaci vi faranno sentire meglio e, alla comparsa di sintomi più gravi, i medici faranno di tutto per aiutarvi. Qualcuno è morto, ma non lo scopriamo adesso che la morte fa parte della nostra vita. Magari leggere Heidegger vi può far bene, non lo so. In ogni caso supereremo tutto questo, ne sono sicuro. Non perché io sia un virologo, ma perché preferisco la speranza al terrore. E credo ce ne sia bisogno, quando la reazione della gente spaventa di più di un’infezione virale. Non sono solito dare consigli, ma questa volta mi sento di invitare tutti a dosare la propria capacità di fare informazione con post e condivisioni. Forse ci siamo già tutti ammalati, ma con un po’ di speranza possiamo guarire. E forse ne usciamo pure vaccinati.

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